giovedì 26 gennaio 2012

ntervista a una cassiera in un supermercato: ” E’ un lavoro precario e usurante”

Davide Pelanda- 25 gennaio 2012- L’antropologo Marc Augè li chiama “non-luoghi”, «spazi che non sono per se stessi antropologici». I “non–luoghi”, tra cui i centri commerciali, sono spazi in cui innumerevoli individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti dal desiderio frenetico di acquistare, consumare…
Noi non ce ne accorgiamo. Ma fare ad esempio la cassiera è sicuramente un lavoro logorante, snervante, molto spesso avvilente. Oggi come oggi, poi, si fa presto a mandarle a casa: basta mettere le casse elettroniche cosiddette intelligenti, che certo velocizzano il lavoro.
Le cassiere spesso sono donne sempre sorridenti con tutti, gentili anche con i clienti più maleducati. Nella maggior parte dei casi  sono addette  molto professionali con cui poter scambiare due chiacchiere tra una postazione e l’altra. E potersi permettere di chiedere di tutto, perché vale sempre la massima del “cliente ha sempre ragione”.
Ma l’onore di queste persone non è fatto solo di quello che vediamo. Sentiamo cosa dice Beatrice (il nome è di fantasia per tutelarla sul posto di lavoro), cassiera in un Ipercoop da poco più di dodici anni in provincia di Torino.
Beatrice quanto percepite come stipendi base netti?
«Intorno ai 600 euro netti per il part-time, con gli straordinari si arriva anche a 800-900 euro. Il ricatto è: “più sei brava e dici sempre di sì più io ti consento di fare un numero maggiore  di straordinari”. Ci sono persone che arrivano sfinite al fine settimana, mentre altre fanno pochissime di ore in più. Dipende anche da altre variabili: se hai famiglia, se sei una studentessa che non deve accudire i figli»
Come sono i tuoi orari?
«Purtroppo questo è il lato peggiore del lavoro, soprattutto in cassa. Qui tutti i giorni si ha un orario diverso. Nei reparti invece ci sono orari più umani»
Tutti i giorni si cambia?
«Sì, Per esempio lunedì vai dalle 9.15 alle 13.15, il martedì dalle 14.30 alle 18.30 mercoledì riposo, giovedì fai il doppio turno»
E non puoi programmarti la vita…
«Non puoi programmarti nulla, sono orari che vengono dati di settimana in settimana. Ogni giorno è  diverso. Poi in cassa c’è anche il quarto d’ora di riposo. Il lavoro difficile dei capireparto delle casse è fare gli orari. La pausa più o meno è a metà del turno, ma a volte si va avanti senza farla, altre  volte si fanno solo  dieci minuti prima di chiudere, a seconda delle necessità. Se c’è tanta gente, come intorno  alle 10.30-11, la  pausa  slitta. Noi della cassa centrale siamo in cinque e ruotiamo su cinque turni, mentre in cassa 50-60 persone ruotano su 15-20 turni. Invece chi si trova a caricare gli scaffali nei reparti bene o male si gestisce il tempo come vuole»
Invece secondo te è peggio  lavorare tutte le domeniche o le consuete feste tipo Natale, Pasqua  il 25 aprile?
«Sì, è terribile. Ovviamente si sfruttano le persone che hanno  contratti recenti in cui sono inserite tutte le domeniche e le festività. Noi invece essendo state le prime ad essere assunte non abbiamo quest’obbligo. Ovviamente però a chi viene proposto un aumento d’orario, come una mia collega con contratto temporaneo rinnovato due volte a trenta ore, gli vengono messe dentro anche le domeniche. Altri con contratto a scadenza e senza obbligo di fare le domeniche, le fanno ugualmente perché hanno paura di non essere più richiamati»
È sindacalmente valido mettere nel contratto tutte le domeniche e le festività? Non si devono contrattarle con gli enti pubblici come Comune, Provincia e Regione?
«Sì, certo. Ma è l’amministrazione comunale che decide l’apertura del supermercato e degli altri negozianti. La grande distribuzione da noi sta aperta sempre, tutte le realtà commerciali,  non c’è mai un supermercato chiuso e l’altro aperto. Il Comune decide in base alle sue feste popolari e di paese: di conseguenza i negozianti e i supermercati come quello dove lavoro io rimangono sempre aperti».
Ma il cliente di questa situazione non dice nulla? Non sta dalla vostra parte?
«Dipende. C’è il cliente illuminato che dice “Poverine, anche voi avete famiglia” immedesimandosi nel nostro disagio. C’è invece quello a cui non importa nulla e dice anzi “meglio, perché altrimenti mi sarebbe toccato andare da un’altra parte visto che lavoro tutta la settimana”».
Com’è il rapporto con il cliente?
«Alla cassa il lato positivo è proprio che il contatto con il cliente si risolve in fretta nei suoi problemi.
Capita invece che il cliente sia stressato e che riversi tutta la sua frustrazione su di noi con questioni del tipo “come insacchetta male!” oppure “non mi ha ridato la carta di credito!”. E ci sono anche a volte alcune cassiere che si mettono a piangere richiedendo l’aiuto della guardia perché vengono maltrattate. Oppure accorre la cassiera centrale o il caporeparto per darci un supporto, per gestire al meglio la questione visto che in coda c’è ancora sicuramente tanta gente ad aspettare il proprio turno»
E dal punto di vista igienico-sanitario come la mettiamo?
«Respiriamo tutta aria malsana, finta; ci si ammala sempre quando sei li dentro in turno. Io ho perennemente il raffreddore, mal di gola … pensiamo che dopo un po’ ci si immunizza e non si prende più nulla. Purtroppo, invece non succede così!»
Non avete una sorta di indennità di malattia?
«No, dovrebbe esserci ma non c’è. Come dovrebbe esserci a mio parere l’indennità sulla responsabilità dei soldi delle casse che non abbiamo»
Sono visti bene i sindacalisti all’interno dell’ipermercato dove lavori?
«No. Dai capi, ed a volte dai colleghi, sono trattati male»
Sì può fare sciopero all’interno della vostra struttura? Si possono fare proteste e manifestazioni?
«In teoria si potrebbe, in pratica no. In un’altra sede, sempre in Provincia di Torino, si sono fatte grandissime battaglie con i sindacati. I primi tempi che eravamo assunti, il capo del personale aveva portato un certo numero di cassiere dalla nostra sede in quella, dove tutti facevano sciopero, per rimpiazzarle perché non c’era nessuno che volesse lavorare di domenica. Invece da noi non si fa sciopero, non c’è nessuno che va alle assemblee, siamo sempre pochissimi. Tutti hanno paura. Anche perché c’è la speranza di poter passare a più ore… ovviamente se ti comporti bene, chissà… magari tra dieci anni ci saranno due ore in più di lavoro!»